La Colonia felice: utopia lirica (terza edizione)
Una notte serena. Qual frèmito di voluttà, quale onda d'amore, bàstano, queste sole parole, a svegliare in quelle ànime musicali, che, perfin dalla
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ànimo e dal dubbio della lor meta, dubbio peggiore della più amara certezza, e dalla brama cupa, senza speranza, della vendetta. Il caldo tramonto parèa
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egli avèa fisso di aquistarsi la pace. Or, come arrivare alla presenza di Aronne? e come, arrivando, riuscire al suo cuore impreparato dalla sventura
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bene - che, come lampo, di bocca in bocca trasmesso, suscitàvasi dietro un giubilante rumore. E, allora, accompagnato da Aronne e dagli officiali e dalla
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E, la pròssima aurora, il Nebbioso ripigliava il cammino che movèa al villaggio. Fu detto già, ei vi scendeva di quando in quando, dalla fame
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Quando, l'alba seguente, il Beccajo affacciossi alla porta della sua casa, a sgombrarsi la mente, come il ciel si sgombrava, dalla pàvida notte
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giòvane snella, dal profilo tagliente e dalla chioma nerìssima, svolazzante, s'era piantata spavalda su di una cassa, e lampeggiando fùlmini neri da' suòi
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gli occhi ebbri di pianto e, nel freddo chiarore che piovèvan le stelle, un giòvane raffigurò, dall'àgil persona, dalla pàllida faccia, accigliata
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alla propria, di una maravigliosa chiarezza. E la concordia parèa ristabilirsi. Quand'ecco, Giorgio il Rampina, un grassoccio dalla cute rosea e
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tornava, esuberante di affetto, su Gualdo, mentre un fièvole suono, aleggiando dalla bocca di lei, dicèa: è nostro. - Nostro! - ripetè involontariamente
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, fatti arcigni dal pranzo in ritardo, la condannàrono prodigalmente, e le manette le divènner monile, non ottenendo in compenso dalla parziale Celebrità